“Solo un uomo”, “solo mare”.

Così si dice. Ma niente è mai solamente qualcosa, soprattutto quando si parla di uomini e di mare. Soprattutto quando si parla (assai raramente) di donne di mare.

L’indole umana spesso porta a sminuire tutto ciò che è fuori dall’io, e a non darvi valore se non quello di comodo, di utilità, ‘finché va bene, finché serve’.

E così un uomo scontroso che pesca per i fatti suoi viene additato come lo scorbutico solitario, e semplicemente lo si tiene a distanza come lui, apparentemente, tiene noi. Che importa in fondo se non entra nella nostra vita o in quella degli altri. Eppure se minimamente si riesce a conservare ancora non dico ‘altro’, ma la curiosità di scoprirlo… rivela sovente inaspettate sorprese, e ci si accorge che non averlo mai conosciuto ci avrebbe depauperati. Lui, a noi.

 

Non è facile avvicinare questi vecchi lupi di mare, come detto scontrosi, riservati, taciturni. Bisogna saperli accostare con rispetto e un poco per volta, come si fa con le bestiole randagie. Sono in primis persone cui ormai piace stare per i fatti propri, ma proprio per questo è bellissimo andare a rompergli le balle con tutte le precauzioni già dette. Se imparano a fidarsi di te… se tu mantieni il rispetto dovuto….. allora potrai salire sulle loro barche e imparare tantissimo da loro, e non solo sulla pesca.

Beh, a parte che io sono convinta vi sia da imparare sempre da ognuno, nel bene o nel male.

 

Conosco un ragazzo che, ‘sopraffatto’ dal suo migliore amico di cui ha scoperto dopo tanti anni di non aver mai capito nulla, ora mi dice che le persone non le si possono capire ma solo accettare o non accettare per quello che sono, e andare avanti così. Perché ‘è difficile capire cosa si abbia dentro di noi, figuriamoci dentro al prossimo’. E’ una teoria interessante. Ma credo nasca anch’essa dalla delusione. Certo si può vivere per sempre (benissimo) senza aver mai conosciuto ‘quel ‘ vecchio pescatore che ci taglia la scia da anni, ma io so che ne vale la pena.

 

Pochi anni fa mi trovavo una sera d’estate di ritorno da una battuta di pesca col solito Eugenio.

Al rimessaggio ci accorgiamo subito che c’è un po’ di subbuglio (leggero devo dire, come in ogni ambiente di pescatori… voci sommesse che bisbigliano tra loro a due-tre per volta, e si dipanano in un lampo subito dopo). Non è ancora tornata una barca, manca all’appello uno di questi lupi solitari; soffre di SLA, ma si avventura ugualmente per mare. Tutti si rincuorano dicendo: ‘starà solo facendo un poco più tardi’, e si

avviano verso casa. Noi no. Eugenio ed io siamo per certo due balordi ma non riusciamo ad andarcene anche se lo si conosce appena, visto appunto da lontano. Lui poi gli vuole una sorta di ‘bene’, lo ha incrociato se pur nelle rispettive solitudini, da anni, da quando non era malato.

Stiamo per risalire in barca quando Eugenio mi ferma: ‘rimani qui è meglio, così mi avvisi se torna mentre io lo cerco fuori’. A malincuore, resto.

 

Dopo oltre un’ora tornano ormai al buio; due barche, una che tira l’altra. Percorro in fretta il molo.

L’ha trovato come perso tra i vivai… era rimasto lì, sfuggita la cognizione del tempo, stato confusionale. Ricordo che col maggior tatto possibile e con molta difficoltà l’abbiamo tirato fuori dal suo gozzo e abbiamo issato la barca ai verricelli, riordinandogliela tutta.

Mi colpì immensamente l’orgoglio di quel pescatore..io non sapevo (Eugenio neppure) ma la SLA era avanzata…. non so come e dove avesse trovato il coraggio e la forza quel giorno di entrare, forse per l’ultima volta, in mare…le braccia erano come sacchi vuoti e si reggeva a stento ancora sulle gambe. Nella chiglia trovammo alcune piccole orate (un grande) … gliele portammo, e una volta convinto ad accettare che chiamassimo i suoi – fu un’impresa pure rintracciarli – lo lasciammo alla sua famiglia.

 

Ora, lo so che tutti noi abbiamo il nostro bel ‘da fare’ e che le nostre vite ci chiamano sempre con grande fretta ai nostri impegni e ai nostri doverosi svaghi. Ma quel giorno il vecchio pazzoide ed io abbiamo potuto conoscere un uomo dal coraggio meraviglioso che era andato caparbiamente incontro al suo ultimo ingaggio col mare.

Avremmo dovuto farci gli affari nostri e lasciarlo lì?

Abbiamo pensato anche questo col senno di poi, ad aver saputo che stava già così male; ma siamo arrivati alla conclusione che sebbene alcune morti siano altamente poetiche… probabilmente no, non se ne sarebbe andato in quella calda notte d’estate rimanendo in mare. Per certo avrebbe lasciato in maggiore apprensione i suoi familiari. Per certo quando Eugenio lo raggiunse era solo confuso, e più che un atto di dolore il suo ci era parso un atto estremo di forza. Quando lo lasciammo non disse nulla… era molto provato.

Mi accarezzò come poteva la mano, in quel gesto tutto quello che è impossibile dire.

Strinsi la sua. E tornai forzatamente alla vita.

 

La foto è opera della bravissima Iolanda Carollo, archeologa e fotografa, che da oggi, quando possibile, accompagnerà alcuni dei nostri racconti… grazie Iole!

Ale
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.

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