Come già ricordato in precedenza qui stesso su Elfishing per un motivo o per l’altro noi poveri pescatori veniamo sempre sbeffeggiati di millantare storie fantastiche. E così non si crede alle prede mostruose, ai calamari giganti e ai gronghi spropositati. Ecco quindi che ci viene in soccorso l’archeologia (come sempre aggiungo), e così, che ci crediate o meno…. gli studi e le analisi sui sedimenti, rinvenuti all’interno di anfore antiche recuperate in mare ancora sigillate, ci raccontano, CON PROVE, ciò che noi andiamo descrivendo a gesti e parole da tutta la vita.
Vi sentite galleggiar per l’aere se tirate su un tonno da 20kg? 30? Ridete se vi dico che un tipaccio che conosco ha tirato su una cernia da 90kg…?? (altra storia, ma assolutamente vera, ci torneremo).
Ebbene le dimensioni delle squame di tonno ritrovate in anfore per salsamenta, una sorta di garum (la salsa di pesce preferita in età romana e trasportata per tutto il Mediterraneo) composto però solo da pezzi di tonno con squame e pelli, ci testimoniano con certezza che il tonno cui appartenevano era di circa 300kg ….. già … non 3, non 30, 300! Consideriamo poi che certo non si saranno conservate e giunte a noi quelle dell’unico tonno mannaro della storia!
Vero è che filmati degli anni ’50 del secolo scorso ci testimoniano mattanze con bestiole di tutto rispetto, e che talvolta ne sbuca dal profondo ancora una ma… rare ancora di tale stazza.
E così tutto torna ad una dimensione che ormai ci sfugge ma che un tempo doveva essere non tanto lontana dalla normalità.
Per questo ora ci impressionano e non crediamo a saltuari avvistamenti di magnifici esemplari marini… perché ormai la circonferenza ‘ toracica’ dei tonni che riusciamo a vedere al mercato non supera che di poco le poche decine di cm. (quando va bene), per non parlare di quegli smilzi dei pesci spada.
E se, seduti su uno scoglio o andando al mercato…. una patella di 4 cm ci pare già bella ‘cicciosa’….. ebbene i siti archeologici di età neolitica ci restituiscono resti di pasto con gusci di questi gasteropodi anche di 10 cm che sono uno spettacolo incredibile a vedersi, alcuni gusci poi appartenenti a specie quasi totalmente estinte e assolutamente prelibate.
Una traccia meravigliosa di questi animali rari la ritroviamo ad esempio in Sardegna, dove, in aree protette, ancora sopravvive la Pinna Nobilis. Una sorta di ‘cozza’ gigante; in immersione ne ho viste io stessa esemplari di oltre un metro di altezza (e chissà in antico).
Questo bivalve contiene talvolta all’interno piccole perle per fortuna di alcun valore commerciale, somigliando in questo maggiormente all’ostrica, ma il suo tesoro più grande lo ha nel bisso ricavabile da alcuni esemplari della sua specie. Il bisso è quella sorta di barbiglia presente anche nelle cozze, che però in questi esemplari tanto maestosi diventa lavorabile da permetterne la filatura e l’ottenimento di vesti molto preziose, indossate già dai romani ad esempio, ma solo da quelli di rango elevato. Viene infatti tutt’ora chiamato l’oro del mare.
La lavorazione del bisso è attualmente tramandata da pochissime persone in Italia, e l’unica a portare avanti quest’antica tradizione in ogni sua parte, persino effettuando le immersioni in apnea per prelevarlo dal mollusco senza che questo ne subisca danno è una fascinosissima signora sarda, Chiara Vigo.
Ma questo è un altro racconto, e sarebbe meraviglioso raccontato da lei.
Rispettiamo il mare. Se continuiamo a massacrarlo a breve pubblicheremo come mirabilia sardine da 15 cm e a noi toccherà raccontare, al solito non creduti, di quando esistevano cozze giganti, e di fantomatiche signore che ne tessevano i filamenti come seta :/
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