“Non c’è un belino”
“Per ora zero attività! Maretta e vento”
Non so se per voi sia lo stesso, ma il ricevere messaggi come questi, di prima mattina (le 9.30 per me rientrano perfettamente nel termine “prima mattina”…), mina clamorosamente le mie velleità di uscita. Maledetto whatsapp.
Sarà perchè ho ancora sonno, sarà perchè il mio abituale equipaggio è falcidiato da assenze familiari ed infortuni tragicomici, cose del tipo stirarsi un polpaccio scendendo un gradino, mi ritrovo a fissare fuori dalla finestra ed il cellulare, alla ricerca di un pretesto per non prendere il largo in solitaria.
Odio uscire in barca da solo.
Perchè è sempre meglio avere un mate, per motivi di sicurezza, non si sa mai. Perchè allestire e gestire la barca, da soli, è un casino. Perchè in compagnia almeno le risate e due discorsi da dementi sono garantiti.
Ma soprattutto perchè, di norma, quando vado da solo faccio danni. Ai pesci ma soprattutto, e spesso come diretta conseguenza, a me stesso. E ciò non è bene.
Fatto-sta che, avendo il pomeriggio libero e non trovando validi motivi per non uscire…preparo pigramente l’attrezzatura. Riduco il carico al minimo essenziale, perchè so già che Fezzano sarà invaso da orde di milanesi e che il primo parcheggio sarà probabilmente ubicato al Muzzerone. Esco quindi con solo un paio di cannette da spinning di bassa grammatura e un paio di traine leggere, fattore che, con il senno di poi, mi farà piangere non poco.
Il piano d’azione è tanto semplice quanto geniale:
Incrocio Luca che rientra mesto, al rintoccare delle 12 in punto, nel canale di Portovenere. Scuote la testa: “non c’è attività”. Per deprimermi ulteriormente, mi segnala che anche gli altri (Lux e Diego) stanno predicando nel deserto. Va a finire che il punto 4 dovrà essere sostituito da una sosta all’Esselunga…
Prendo il largo, plano comodo ed arrivo in zona. Effettivamente, non c’è un belino. Gabbianetti qua e là, onda e venticello da Sud. Traino un’oretta, entrando in mangianza sulla focaccia, per nulla disturbato dalle canne che tacciono. Il vento piano piano cala. Provo a ricevere aggiornamenti da Lux e Diego che però, discretamente scoglionati, sono già a casa.
Toh, una mangianza.
Non faccio in tempo a notarla che le 1418924691862 barche che appaiono da ogni dove mi fanno intendere che la mattinata deve essere stata dura per tutti. Mi allargo, cercando una zona più libera, mentre il vento molla del tutto ed il mare si liscia, pur mantenendo un residuo d’onda lunga. Si sta bene, altrochè.
Al largo la situazione comincia a farsi interessante.
Mangianzina qua, mangianzina là. Poche barche in giro, ed a traina. Comincio finalmente a fare due lanci con la canna da spinning e le occasioni si fanno sempre più frequenti. Fin tanto che un gruppo di gabbiani non comincia la sua danza sul posto, facendomi capire che là sotto c’è quello che sto cercando: la PALLA!
“Cerca il guadino, guida, guarda avanti, tieni d’occhio la palla, tieni vicino la canna. Maledetto me e quando esco da solo”. Sì, parlo anche da solo.
Come sempre succede quando hai fretta, il guadino si incoccia nella simpaticissima vetroresina di bordo gavone, un grande classico. Riesco a liberarlo, o meglio, a romperlo. Aggiungiamo quindi alle operazioni precedentemente elencate, la riparazione del guadino in modalità Rambo con cimella tra i denti.
In un modo o nell’altro, il guadino raffazzonato cala su parte della malcapitata palla. Con un guadinatore e/o un timoniere avrei fatto il pieno, ma mi accontento. Dalla rete però non escono acciughe ma SARDE. E grosse. Non mi capita spesso di guadinare delle sarde, specie di quella pezzatura, quindi rimango interdetto per qualche secondo a fissarle, non sapendo se essere deluso per la mancata frittura o felice per il reperimento di esca AGGRATIS (oltre che per la tenuta del guadino modello BRICOLAGE).
Mi tolgo il dubbio vedendo una miriade di altre pallette sorgere ovunque, in un delirio di gabbiani e, fortunatamente, poche barche. La seconda guadinata è più fortunata, acciughe DOCG, ed il lancio a spinning successivo mi garantisce il tombarello taglia MAXI che stavo aspettando per cena. La giornata sarebbe conclusa rapidamente e positivamente, alla faccia della “scarsa attività”.
Il pescatore, si sa, è curioso di natura, discende più dalla bertuccia che dall’homo erectus.
Vengo attirato dalle urla di giubilo provenienti da una barca distante un centinaio di metri. E non è nemmeno ipotizzabile il non andare a curiosare…
Mi avvicino e la barca si rivela essere il mitico BIMAX dei “marziani”, creature mistiche delle quali vi abbiamo parlato già in passato. I consueti occupanti del mezzo, sempre alle prese con un vestiario veramente fuori contesto, stanno festeggiando una guadinata record, a loro dire sottratta dallo sguardo famelico di “uno squalo”. Pienamente soddisfatti, decidono di portare loro e le loro fantastiche bretelle al porto di origine, lasciandomi solo nella zona.
In effetti, ad un centinaio di metri dalla loro barca fa bella mostra di sè una super palla di acciughe…per cui…andiamo a vederlo in faccia, ‘sto squalo!
Mi posiziono sulla palla, salpo altre due acciughette (casomai queste fossero più buone, non si sa mai… 🙂 ). Non vedo niente di strano.
In realtà una sagoma c’è. Indistinta. Pulisco gli occhiali dal sale, sarà un alone.
Niente, l’alone è sempre li. Lo tengo d’occhio per un po’, sparisce e ricompare 20 metri dietro la barca. Lancio due artificiali con la mia cannetta, senza risposta, i tombarelli sono troppo presi a tenere d’occhio la bait ball che staziona a due-metri-due dalla barca, e “l’alone” non pare interessato, ma forse manco esiste. Colpo di sole?
Mi giro per prendere il telefono e chiamare Luca. Mentre sono al telefono, di spalle, vengo richiamato da un tonfo in acqua violentissimo, con schizzi a bordo. Butto giù in tutta fretta a Luca, non so nemmeno cosa gli abbia detto. L’alone, ora, è un pesce in carne e pinne, che dello squalo non ha nemmeno la punta del naso e che scoda puntando verso il fondo dopo aver assalito il banco di acciughe a due-metri-due dal motore.
E che ricciola. Non ho canne pesanti, nè da traina nè da spinning. Rimango sinceramente imbarazzato per qualche secondo, non so proprio cosa fare. Spero quasi se ne vada, che la smetta di girare a pochi metri dalla barca, in modo da togliermi qualsiasi idea malsana.
Invece no. Sta lì. Mi giro, magari sparisce. No.
Allora prendo la Gopro, ed il risultato lo vedrete tra poco. Perlomeno qualcuno mi crederà, altrimenti vallo a dire in giro che sotto 32 gradi e il sole cocente hai visto una ricciola da svariati chili sotto la barca, che tanto sicuramente non prenderai.
Passata la prima sbornia emozionale, rinsavisco. Guardo le canne che ho a bordo e mi viene da piangere. Armo in fretta e furia un terminale da vivo sulla 6/12 libbre (!) da traina. Nel frattempo, preparo un terminale con un 1/0 e innesco alcune acciughette a mazzetto sulla canna da spinning più pesante (si fa per dire). Infine preparo un altro terminale con acciuga singola per prendere il tombarello che serve per il vivo.
Calo tutto.
I tombarelli arrivano in sequenza. Prima di salparli li lascio a gironzolare dietro la poppa sperando di vederli attaccare. Niente. La ricciola lancia un’occhiata furtiva, e via. Li innesco sulla canna da traina un po’ affondati ed a distanza. Niente. Quando muoiono per inedia, li cambio, e così il mio frigo cominicia ad arricchirsi di pesci da chilo e più rifiutati da una sdegnosa ricciola.
Tiro fuori artificiali, jig, slow pitch, popper, vermoni. Niente. Sta li. Ti guarda. Sembra finta.
Due ore di questa pazzia, poi…
Peggiora.
La ricciola non è più una, ora sono due. Poi tre. Poi quattro. Infine cinque. La Gopro si è scaricata, meglio così. L’ultima arrivata è onestamente mastodontica. Non so più cosa fare. Mi metto in moto e comincio una traina lentissima attorno alla bait ball. Appena mi allontano 20 metri, la ricciola più grande la attacca a galla.
Vedere una ricciola che attacca una bait ball in superficie, signori, è uno degli spettacoli più clamorosi che abbia mai visto. Il tonno è velocissimo, vola fuori dall’acqua, è spettacolare ma breve. Adrenalinico. La ricciola è maestosa. Accelera apparentemente senza sforzo il suo moto sinuoso, entra nella palla, scuote la testa, e torna giù con qualche falcata di coda. Impiega qualche secondo, dando il tempo al malcapitato osservatore di comprendere tutta la scena. Un’agonia.
La bait ball si rompe, le ricciole si separano.
Provo anche a lanciare in mezzo alle bait ball residue sperando di azzeccare l’esatto momento in cui uno di quei mostri pinnuti sferra il nuovo attacco. Niente.
Dopo due ore e mezza, la palla è distrutta. Le ricciole sazie. La barca ridotta ad un disastro di esche sparse, scaglie d’acciuga e qualche tombarello. L’uscita da due ore è diventata un pomeriggio intero sotto il sole, con ancora un rientro tra padani da dribblare ed una barca da scaricare.
Ed un cogl*one a bordo che ha capito che non deve più uscire da solo. Forse…
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