Ma le nuove misure restrittive per la pesca sportiva che la Regione Liguria, secondo un articolo apparso ieri su molti quotidiani, intende adottare per combattere questo fenomeno faranno discutere.
Colpiranno veramente i bracconieri, o solamente i soliti pescatori veramente sportivi e responsabili?
Qualche considerazione a ruota libera, in questo articolo.
Premettiamo: le nostre considerazioni dipendono da quanto letto in questo articolo, riportato anche nei principali quotidiani regionali.
Eventuali informazioni erronee contenute nel pezzo potrebbero indurci in errore, quindi, in attesa di provvedimenti ufficiali, possiamo solo ragionare con condizionale d’obbligo.
Nel pezzo, si parla sostanzialmente della possibile adozione di alcune misure “rivoluzionarie” mirate alla riduzione del bracconaggio e del commercio illegale del pescato, fenomeno, purtroppo, tristemente diffuso specie nel caso di cattura di sparidi. Nel dettaglio, i provvedimenti allo studio, con le nostre considerazioni.
1) Istituzione di un tesserino di riconoscimento
Non è ben definita la modalità di erogazione di questo “tesserino”, nè se si tratti di una misura a pagamento o se a scopo di solo censimento, una sorta di patentino gratuito. Nel primo caso, si tratterebbe di una misura la cui congrua quantificazione risulterebbe abbastanza complicata, trattandosi di un unicum a livello nazionale; nel secondo, si tratterebbe dell’ennesima pratica burocratica per la pesca sportiva, che negli ultimi cinque anni ha già avuto un incremento esponenziale della documentazione da esibire per ciascun controllo, a partire dalle licenze per la pesca sportiva dei tonni e spada, e del censimento obbligatorio di qualche anno fa.
Un ulteriore problema scaturirebbe da una simile misura adottata da una sola regione; come ci si comporterebbe in caso di pesce pescato in mare ad esempio “toscano”, libero da vincoli, ma sbarcato in un porto ligure? E viceversa?
Precisiamo che in linea di principio, l’istituzione di un tesserino, anche a pagamento (poco piu che simbolico, vista la crisi), non ci vede del tutto contrari, a patto che i fondi vengano utilizzati per l’intensificazione dei controlli e delle opere di salvaguardia.
a) allentamento delle aree di divieto, maggiori di quelle permesse attualmente nella nostra zona
b) ritiro del tesserino dopo un certo numero di infrazioni, con controlli SERRATI e diffusi; facile a dirsi ma non a farsi, vista la cronica mancanza di fondi che colpisce i nostri enti di vigilanza preposti e soprattutto il vezzo, tutto italiano, di favori e scambi incrociati…
c) validità a livello nazionale o perlomeno multiregionale (nord, centro, sud), con perimetri e condizioni ben definite e non lasciate oscure e nebulose alla libera (e spesso erronea) interpretazione del singolo.
2) Obbligo per i pescatori ricreativi in mare di rendere riconoscibili le proprie catture attraverso il taglio della parte inferiore pinna caudale, quella posta sulla coda del pesce, operazione che permetterà di distinguere il pescato dei dilettanti da quello dei pescatori professionisti destinato alla vendita
E’ un provvedimento già adottato, ci segnala APR (Alleanza Pescatori Ricreativi), in alcuni paesi europei, tra i quali la Francia. Il taglio della coda in barca, prima dello sbarco, consentirebbe una chiara identificazione in caso di vendita del pescato ad un ristorante, o comunque a terzi. Il problema è sempre legato alla frequenza dei controlli e alla loro effettiva attuazione a livello sistematico e diffuso, perchè il problema non è distinguere se un pesce sia pescato professionalmente o meno, ma intercettarlo prima che arrivi al ristorante o sulla tavola del consumatore terzo. E questo problema rimane sostanzialmente inalterato se non si interviene aumentando la capacità di controllo degli enti preposti, ottimizzando le verifiche e concentrandole nei porticcioli e direttamente ai ristoranti.
Tra i provvedimenti proposti riteniamo sia comunque il più semplice e meno impattante…a meno che non si chieda di tagliare la coda ad ogni singola acciuga guadinata 🙂
3) Istituzione di guardiapesca volontarie
Il Decreto allo studio della Regione prevede anche, per ovviare al problema della numerosità dei controlli, l’istituzione della figura del guardiapesca volontario, attingendo dalle numerose ASD presenti sul territorio e da singoli pescatori impegnati attivamente nelle politiche antibracconaggio. Riteniamo sia una mossa molto lungimirante e positiva, a patto che:
a) venga garantito un potere di “ufficiale pubblico” ai guardiapesca, per metterli a riparo da eventuali “proteste”non esattamente composte…
b) venga garantito il solo rimborso delle spese di viaggio e non una percentuale sulle eventuali multe, per evitare la caccia all’infrazione a tutti i costi
c) venga selezionato personale dopo adeguate prove di esame e verifiche di competenza, per evitare di essere sanzionati per aver pescato un tombarello che al guardapesca pare un rosso…
Su questo proposito, Elfishing valuterebbe molto volentieri la possibile partecipazione con uno (o più) dei suoi rappresentanti.
4) Marcatura obbligatoria degli attrezzi da pesca
Nell’era del commercio digitale e “worldwide”, pare una procedura piuttosto complessa da mettere in atto. Ogni singolo attrezzo registrato e bollato…si può fare ci mancherebbe, ma se contiamo che la gran parte del pesce che arriva dalla pesca dilettantistica viene catturato con i palamiti ha veramente senso marcare le canne o gli arbalete? E qual’ è l’ente designato a fornire i bollini e a tenerne traccia ? Ogni pescatore dovrà compilare moduli per ogni acquisto in capitaneria? E un trainista con 11 canne da traina dovrà bollare 11 canne, 11 mulinelli?
Complessivamente, ci sorgono queste altre considerazioni..
Bella iniziativa di sensibilizzazione, non c’è dubbio, ma quanto risulta essere il pescato immesso sul mercato dai dilettanti?
Siamo per il catch and release e per la pesca responsabile, ogni cosa che va nella direzione della tutela dell’ambiente non può che vederci schierati in prima linea.
Ci piacerebbe vedere la stessa attenzione anche rivolta verso i professionisti.
Alcuni controlli in questo campo potrebbero portare a risultati sull’ambiente di ben altra portata rispetto al controllo della pesca ricreativa.
Un esempio, è vietato strascicare al di sotto dei 60mt , è così complicato installare un tag satellitare su ogni peschereccio e verificare quando la velocità di strascico viene tenuta per un certo periodo di tempo in acque più basse e fare un controllo mirato?
L’ispezione sistematica in porto del pescato non mi pare un’altra cosa impraticabile.
Stiamo parlando di tonnellate contro qualche chilo, con impatto devastante sul fondale marino.
I professionisti che pescano con i tramagli e li mettono praticamente sugli scogli a meno di duecento metri dalla delegazione di spiaggia?
La trave nell’occhio degli altri non deve farci scordare la scheggia nel nostro, ma con l’occhio sano noi continuiamo a vedere la trave…
E leggere nello stesso articolo che i tonni nel mar ligure sono un numero tale da generare una richiesta di intervento da parte dell’UE per la riapertura dei termini della pesca professionale, auspicando magari l’intervento di qualche nave fattoria giapponese o spagnola nelle nostre acque, fa sorgere il dubbio che alla fine non sia l’effettivo stato del nostro mare il primo motore del provvedimento…
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