In mare difficilmente esistono ritorni. Anche il vento che sibila sulla cresta dell’onda non è mai uguale a se stesso, è più un eco di voci sempre diverse.
E così, mai uguale, rimonta l’onda nel suo moto continuo.
Ritorna il salmone, risale. Per altre acque e per andare a morire.
Ritornano talvolta una deriva infranta, o un gavitello spinto dalla risacca.
Tornano pochi umani perché il mare, la volta che è lui a prendere, difficilmente restituisce. Ma non sembra avidità, pare piuttosto un ”ora sei parte di me, ti proteggo”.
Del resto è questo il motivo per cui ogni ritorno è struggente, ed ogni antico suono di voci dal mare, quali che siano, sembra ad ognuno di noi un richiamo immancabile, qualcosa da cui non poter allontanare lo sguardo.
Ed io, oggi, guardo ancora questo mare con l’irrefrenabile desiderio di corrervi dentro per provare se ogni nostosè perduto, o se basti allungare le braccia verso il largo per ritrovare il senso di ciò che abbiamo mancato.
Di solito non trovo più nulla, neanche il braccialetto perso un attimo prima. Ma il mare mi apre il sorriso con la vista di un polpo arricciato su uno scoglio di fondale che pare osservarmi o forse no.
Mentre una splendente haliotis sembra essere il dono, di ritorno, di quel mare meraviglioso della nostra vita.