Come ci si sente ad essere legati ad una sottile lenza, e calati giù, negli abissi, nel blu più profondo?
Quali predatori minacciosi, in agguato, saranno pronti a ghermirci alla prima occasione?
Ma soprattutto….torneremo a galla o rimarremo agganciati a qualche bastardissimo souvenir di fondale?
Diciamolo, difficile che un’esca, un banale pezzo di ferro, si ponga tante domande al momento di scendere in acqua. Seppur pagata carissima che manco un ricercatore dell’ MIT.
Ed ancora più difficile, almeno dalle nostre parti, immaginare orde di predatori in attesa, celate dall’oscurità.
Mentre rimane di assoluta attualità il tema dei numerosissimi artificiali rimasti ad arricchire il fondale marino con conseguenti dissertazioni ittico-teologiche, che approfondiremo un’altra volta.
Sono dunque solo domande esistenziali, o forse più propriamente “pippe mentali”, quelle che ci hanno spinto ad immaginare tutta questa scenetta in un momento di tedio, guardando il monitor dell’ecoscandaglio piatto al solito, in un’assolata quanto rara domenica di giugno.
La geniale pensata ovvero il frutto del colpo di sole, si avvera in pochi secondi.
Estraiamo la nostra telecamera subacquea (acquistata in un altro momento di lucida follia durante uno degli innumerevoli piovosi inverni recenti) e la caliamo giù, nell’abisso, a -80 m, al limite della sua capacità, su un fondale piatto nobilitato da qualche detrito e qualche creatura vivente non meglio identificata.
Trattenuta da un sottile filo ed armata da un sabiki di bassa lega, nella speranza che in caso di incaglio il materiale scadente di origine orientale si apra come di consueto e ci permetta di riportare a galla il nostro costoso quanto feticistico gadget, la telecamera fende l’acqua invero piuttosto torbida e giunge in posizione. Ce ne fornisce palese dimostrazione il trecciato multicolor, arrivato al canonico “giallo” che segnala inequivocabilmente l’arrivo nella fascia di fondale.
Qualche rimbalzo dell’esca sul fondo e rimaniamo in posizione per qualche minuto.
L’adrenalina che proviamo deriva dal senso del pericolo e non certo dalla certezza di aver ripreso qualcosa di stupefacente.
Stupefacente probabilmente assunto, prima di calare quel costoso gadget a quell’insensata profondità.
Il sabiki fa talmente schifo che nessuno lo attacca. Manco muovendolo. Niente. E così l’esca sotto, degradata al ruolo di piombo. Da un certo lato ne siamo quasi felici, col culo che ci ritroviamo l’idea dell’unico pesce di taglia della zona che taglia il finale e si ritrova con una telecamera frontale non è certo così peregrina.
Recuperiamo il tutto, con un certo sollievo, e rientriamo alla base…prima di avere altre malsane idee quali usare la telecamera per una rettoscopia di qualche cetaceo.
Arrivato a casa, decido di dare un’occhiata a quanto ripreso…con la stessa soddisfazione di chi va a controllare la posta ben sapendo che nella migliore delle ipotesi non troverà nulla e nella peggiore roba da pagare. E c’è sempre qualcosa da pagare.
Invece, colpo di scena:
Sorpresa n°1: sotto lo strato di ettolitri di acqua dolce di questo stupendissimissimo giugno, l’acqua era blu davvero. Visibilità davvero interessante. Si vede perfettamente il sabiki che scende…scende…scende….ma quanto scende?
Sorpresa n°2: MA QUANTA LUCE ARRIVA A -80m? Si vede chiaramente il fondale, senza l’utilizzo di fonti luminose.
Ma soprattutto….
Buona visione!