Io sono l’ombra del mare,
che corre sui pensieri coprendoli come il mare stesso copre le terre.
Sono il respiro del cielo che non sa più respirare.
L’alito di vento che passa sibilando, insinuandosi tra le chiglie,
d’inverno.
Sono le tue ragioni. Così lucide e chiare eppure così piene di nebbia. E sono quella nebbia, bassa e densa, che ti offusca i pensieri trasformandoli in marosi sempre irati e cupi.
Sono le tue ali, che ti fanno scappare lontano ad ogni rintocco d’inverno. Ali che ho reso più forti e determinate a migrare.
Sono i dubbi, gli inspiegabili scatti d’ira. Ciò che fuggi e che non sai abbracciare.
Sono ciò che non sai provare.
Il vuoto. Interminabile dentro la testa.
Sono il silenzio e il buio che ti fanno tenere le luci accese di notte, per non perderti a cercare ragioni.
E sono la paura che inghiotte, il suono della tua voce che non so più sentire.
Le tue incapacità, gli umori spezzati.
(Disegno: Alex Andreyev)
Che dire, se negli anni ’70, d’estate, qualcuno vedeva una bimba solitaria con cappellino marinaro seduta sul bordo di un vecchio pontile di legno presso l’Arenella di Portovenere, con una lenza in mano, ero io. Non ricordo quando ho cominciato, ma a 7 anni per certo inseguivo babbo sott’acqua, lui a pesca col fucile, io dietro col retino imperterritamente convinta di riuscirvi anche così. Ormai è storia (vecchia) che in assenza di lenza e retino mi arrangiavo pescando piccole bavose di scoglio anche col sacchetto del bondì, doverosamente divorato prima. Per molti anni ho rilasciato tutte le prede, poi sono diventata ‘cattiva’ quando le dimensioni loro e mie sono aumentate. Ho avuto pochi ma magnifici maestri, che, bontà loro, mi portano appresso: pare io porti bene. Prediligo la pesca col vivo in mare, a bolentino traina e scarroccio; per poco (anno con ghiaccio sottile) mi è sfuggita la pesca nei laghi del Nord, ma ‘ce l’ho qui’...devo ritentare. Non amo descrivere tecniche (che lascio agli esperti) ma sensazioni. Per il resto sono archeologa.
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