Riceviamo, e non potevamo certo esimerci dal pubblicarlo, un bellissimo racconto da una lettrice speciale…
Si tratta di Laura, moglie del nostro Comandante, che ci descrive il punto di vista delle mogli, spesso vere e proprie vittime (più o meno) pazienti della nostra malattia piscatoria…
Un testo graffiante e bellissimo che dedichiamo alle nostre tolleranti fidanzate\mogli, e alle (speriamo) altrettanto comprensive compagne dei nostri lettori.
E lo dedichiamo anche a noi stessi, accaniti pescatori…che non dobbiamo mai dimenticare che spesso le “prede” più belle e ambite le abbiamo già vicino, a casa! 😉
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Quando mi sono messa con mio marito avevamo 18 anni. Era un sabato pomeriggio. Mi avvertì subito che la domenica non ci saremmo potuti vedere perchè apriva la stagione di pesca e lui alle 3 del mattino sarebbe stato sul greto del fiume per trovare la posizione migliore.
Sono passati oltre 26 anni e due sere fa mi inseguiva per casa con un pescetto di plastica tutto entusiasta, con gli occhi che gli brillavano per mostrarmi quel “capolavoro” incredulo del fatto che non provassi il suo stesso entusiasmo per “quell’opera d’arte”.
Cosa vuol dire essere la moglie (o il cadavere di prua come spesso mi definisce mio marito per la mia posizione plastica e orizzontale a bordo) di un malato di pesca?
Vuol dire avere canne da pesca sparse in tutta la casa soprattutto in salotto, vuol dire ritrovarsi una sera con un frigo enorme della Sammontana che occupa tutto il garage con la scusa che è per i nostri gelati, vuol dire essere a passeggiare la domenica pomeriggio per Lerici con un’amica e dover scappare al Pronto Soccorso dove c’è lui, vestito come un barbone, con un amo infilzato nel dito, vuol dire avere riviste di pesca ovunque soprattutto in bagno (e non conciliano per nulla!), vuol dire avere la Tv accesa su caccia e pesca e quando si rivede per la terza volta lo stesso documentario sul tonno sperare di gusto che questa volta lo perdano. Vuol dire consolarsi quando vedi i suoi amici fissati quanto lo è lui, vederlo felice se a Natale gli regali qualcosa che non sai nemmeno descrivere, vederlo tornare a casa orgoglioso con i jeans macchiati di sangue, convivere con una borsa frigo verde e uno zaino rosso ormai suoi compagni inseparabili (il pescatore è molto superstizioso!), salire in macchina e sentire puzza di sarda e lui che la sniffa beato o aprire il frigo e trovare delle esche proprio lì , vicino al tuo yougurt.
Essere moglie di un pescatore vuol dire vederlo crollare dal sonno il sabato sera alle 9 dopo 12 ore di pesca.
Però essere moglie di un “pescatore” vuole anche un po’ dire essere moglie di un poeta, imparare ad amare il mare con i suoi rumori e i suoi silenzi, vedere la gioia che si prova a tirare su un pesce e l’altrettanta gioia che si prova a vederlo rilasciare ed andare libero dopo un “guarda come è bello”, vedere lo spettacolo dei delfini che ti accompagnano durante il tragitto, vedere i suoi occhi che si illuminano quando vede sulle previsioni meteo i pochi centimentri d’onda previsti per il fine settimana.
Ma essere moglie di un pescatore vuole soprattutto dire poter rispondere dopo l’ennesimo acquisto di un paio di stivali “costano meno della tua ultima canna!”
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