Che il Golfo della Spezia sia definito, per le sue storiche frequentazioni, il Golfo dei Poeti, è risaputo. Quello che oggi vogliamo proporvi è un estratto dal bel libro “Ottocento, quando Spèza divenne Spezia” di Gino Ragnetti, edito dall’Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini. Un brano dove la poesia incontra il mare, la nostra riviera e la nostra gente.
“Nel corso dell’estate (1828) arrivò in città pure il reverendo Walter Weever del St.John College di Cambridge il quale descrisse così lo spettacolo che all’imbrunire gli si presentò mentre faceva due passi lungo la spiaggia: «La scena era un incanto, la luce della luna si rifletteva sulla superficie del mare come in uno specchio splendente».
Weever fu incuriosito da numerosi piccoli fuochi che in apparenza ardevano sull’acqua poco lontano dalla riva; perciò si avvicinò ancora di più e scoprì che si trattava di pescatori immersi fino alla cintura, armati di fiocine e di torce accese per attirare i pesci. Nel tempo che rimase lì a guardare, vide uno dei pescatori scagliare tre volte l’asta: tre colpi, tre belle prede.
Anche Shelley era rimasto affascinato da quell’arte antichissima.
Chissà quante ore aveva trascorso a osservare da Casa Magni (la residenza del Poeta a San Terenzo) o dai vicini scogli l’agguato notturno al pesce tradito dalla luce. Gli era rimasto talmente impresso da dedicargli alcune righe nel poema “Lines written in the Bay of Lerici”:
[quote]«E il pescatore / con lampa e lancia strisciando / su le rocce umide e basse / colpiva a quando a quando / il pesce accorrente / alla fiamma ingannatrice».[/quote]
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