Quanti di voi hanno portato dei bambini a pesca?
Quanti di voi sono sopravvissuti alla prima volta?
Un pò di libere elucubrazioni sul piacere/tormento nell’educare dei piccoli terremoti e farli diventare gli angler di domani 🙂
Un articoletto a ruota libera del nostro impareggiabile comandante!
Non ho figli, ormai non ne avrò.
Me ne dispiaccio, ma non per un mero discorso di tramandare un patrimonio genetico il cui valore è del tutto opinabile.
Perché ritengo che il senso della vita sia un lascito di storie ed esperienza alla generazione successiva, poi che ne facciano uso o meno dipenderà dal loro libero arbitrio.
Questo mondo ha distrutto il rapporto fra adulto e bambino in maniera assoluta,  se penso alla fame di storie che ho sempre avuto, allo stato di beatitudine raggiunta ascoltando racconti di mare e di guerra da mio padre, dai suoi amici, alla pazienza di un lontano parente  nell’insegnarmi la più bella passione del mondo, un anziano colosso dai capelli bianchi che poteva parlarti di mare, di filosofia, di pesca o di politica con lo stesso ardore, sinceramente mi incazzo.
Non è più così per terribili motivi, perché il terrore condiziona i comportamenti, gli orizzonti del bambino nei confronti dell’adulto e dell’anziano sono limitati all’interno della famiglia.
Si impara meno, ci si chiude come coltelli a serramanico su se stessi.
Non mi sono mai rassegnato a questo andazzo, considero i bambini prima di tutto esseri umani, simpatici, antipatici, capricciosi, rompicoglioni, buffi, teneri o divertenti a seconda delle loro caratteristiche personali ma tutti curiosi di imparare qualcosa di diverso, di prendere in considerazione un punto di vista differente.
Come suggerisce Bergonzoni, provate a chiedere ad un bimbo cosa non ha fatto ieri, gli si aprirà davanti una prospettiva diversa, affascinate, scatenerete la sua curiosità e la sua fantasia, sarà un’esperienza per voi e magari anche per lui.
Il gioco in fondo è il punto di contatto, mi sono ritrovato, nonostante la mia orsaggine, a fare da balia a torme di bambini che non vedevano l’ora di provare a pescare e, vi dico sinceramente, all’inizio, da buon pescatore burbero e solitario, mi rompevano i coglioni.
Sono lì dopo una settimana di lavoro con la mia cannetta in mano e mi ritrovo un nano che mi guarda perplesso mentre innesco un verme grondante sangue o una puzzosissima pasta al formaggio.
Non lo considero, sto pescando,  quello si siede e mi guarda, comincia a fare domande, prima timidamente, poi diventa un fiume in piena, io grugnisco ma dopo un po’ cedo, gli insegno come si tiene la canna, come si innesca, che tipo di pesce cerchiamo, sotto gli occhi preoccupati della madre che teme si punga o si ritrovi il petto spruzzato da…una boga che ha abusato con l’Activia e il bifidus…
Ogni tanto il nano non ha pazienza e se ne va, poi torna, se per caso prende un pesce è una lotta all’ultimo sangue per farglielo rilasciare: ho visto bambine portarsi a Bologna una salpa per farla imbalsamare, lottando con genitori e parenti vari con tutte le loro forze.
Sinceramente non è che lo faccio per loro, mi diverto, siamo allo stesso livello di comunicazione, se esagerano li redarguisco, anche bruscamente, avere un adulto che ti tratta da pari e se fai una cazzata te la fa notare, senza indorare la pillola, è molto apprezzato.
Insegnargli a non avere paura dell’acqua e a nuotare, ad andare sott’acqua, far loro vedere i pesci e insegnargli i nomi, e magari mangiare un pesce che hanno pescato loro, provare ad inculcargli il rispetto per le creature addomesticando la loro naturale crudeltà …. sarò scemo ma mi da una soddisfazione incredibile. Costa alle volte una fatica immane, è impossibile gestirne un numero elevato contemporaneamente senza farne sanguinare almeno uno, ma pazienza, gli serve a prendere coscienza del pericolo e del  dolore.
E se fra trent’anni uno, uno solo di questa masnada di simpatici ed indiavolati pupattoli si troverà su un molo, su una barca, in mezzo ad un torrente o su un lago, con una canna in mano ed un nano di fianco che lo tempesta di domande, ecco, avrò vissuto per qualcosa.
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