Certe volte il mare chiama. Passi magari cento volte davanti a lui e lo osservi , mentre schiuma, mentre sonnecchia calmo, o mentre brontola insinuandosi tra gli scogli o mentre si trasforma, a riva, in risacca.
In ogni modo è sempre un brivido, un’espressione di vita che cattura l’attenzione ma… solo alcune volte si crea l’ingaggio… ci si guarda a vicenda… e si comprende che è il momento che lui ti concede di prendere il largo. Magari proprio il giorno che la bruma ci avvolge. Ecco, le sensazioni . Vi sono persone, me compresa, che hanno col mare un dialogo naturale, innato. Che necessitano di accarezzare l’acqua dalla barca anche quando è inverno, anche quando non è necessario per bagnare una spugna o riempire un secchio. E accarezzare il mare è come un tributo, un saluto che ci mette in connessione come quando si inserisce la spina o si sale in sella a un cavallo che si conosce bene ma che si sa comunque bizzoso. Tramite il contatto col mare è immediato sentire un brivido lungo la schiena che riporta immediatamente a chi altrettanto lo ha amato..un padre, una nonna, un fratello. Il pensiero corre a figure non più presenti e ad affetti ormai lontani, e diventa rifugio della memoria.
E così il pensiero del mare accompagna da sempre i pensieri, dai giochi di bimbo sulla spiaggia alle prime immersioni per carpirne l’universo che rappresenta e che ancora, tutt’ora, non conosci.
Ma tutto questo dura un lampo di faro, ricordi che appaiono e svaniscono; il mare richiede concentrazione e impegno, di essere solcato con l’attenzione dovuta, rivolta ad azioni più pratiche e necessarie.
Personalmente amo il mare quando è arrabbiato. Sarà perché so che allora il fondo si rimescola e i predatori si agitano. Le piccole prede, il loro pasto, si nutrono di quel movimento e accorrono per afferrare qualsiasi nutriente capiti loro a tiro e questo aumenta la loro frenesia, quella dei predatori, e la mia. Anche se molte sono le variabili pronte ad intervenire, correnti e venti compresi.
In parte è incoscienza nonostante l’età che ormai avanza, in parte è sfida. In parte è la fortuna di non soffrire il mare almeno fino al tanto che mi ha messa alla prova.
Di solito rido, rido di gusto circondata dal mio elemento preferito che come un pesce palla si gonfia per intimorirmi e farsi minaccioso. Ha ragione..ma mi mette comunque tenerezza e allegria, e quindi sorrido . Altre volte, semplicemente, se siamo troppo al largo e l’onda si alza eccessivamente, allora scruto il mare e ripasso mentalmente ogni eventuale azione da dover intraprendere, compreso sigillare all’asciutto il cellulare e un razzo, indossare l’odioso giubbetto, e riflettere in un lampo su cosa sia meglio togliersi di dosso per non sprofondare più facilmente sul fondo. Poi (ovviamente!) mi viene subito in mente lo squalo di spielbergiana memoria o il calamaro gigante (che tra parentesi ho incontrato) e spero di non finire in acqua e di dare piuttosto una remata in testa al malcapitato compare di pesca in modo che faccia salire me sullo scafo rovesciato e lui… si attacchi alla gomena.
Insomma… un vero capitano di mare 😉
A. La Fragola
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